Quando un rapporto di lavoro giunge al termine, le strade più comuni sono le dimissioni volontarie o il licenziamento. Esiste però una terza via, una soluzione basata sull’accordo tra le parti: la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, spesso chiamata anche licenziamento concordato.
Si tratta di un’intesa con cui azienda e dipendente scelgono, di comune accordo, di interrompere il contratto, definendo insieme i termini e le condizioni dell’uscita.
Ma come funziona esattamente questa procedura? Quali sono i passaggi da seguire per formalizzare l’accordo? Il lavoratore ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI? E come viene gestito e tassato l’eventuale incentivo all’esodo, la cosiddetta “buonuscita”?
In questa guida completa rispondiamo a tutte queste domande.
Analizzeremo passo dopo passo ogni aspetto della risoluzione consensuale, offrendo uno strumento pratico per aiutare lavoratrici, lavoratori e datori di lavoro a gestire questa fase delicata con maggiore chiarezza e consapevolezza.
Indice dei contenuti
- Cos’è la Risoluzione Consensuale (o Licenziamento Concordato)
- Perché scegliere la risoluzione consensuale: i motivi
- Gli svantaggi e i rischi da considerare
- Vantaggi e svantaggi a confronto: la tabella riepilogativa
- La procedura passo-passo: come si formalizza l’accordo
- Risoluzione consensuale e diritto alla NASpI: quando spetta
- L’incentivo all’esodo (o buonuscita): cos’è e come funziona
- Domande Frequenti (FAQ)
Cos’è la Risoluzione Consensuale (o Licenziamento Concordato)
La risoluzione consensuale, nota anche come licenziamento concordato, è la modalità di cessazione del rapporto di lavoro che si verifica quando datore di lavoro e dipendente decidono insieme, di comune accordo, di porre fine al contratto.
Prevista dall’articolo 1372 del Codice Civile, che stabilisce che il contratto “non può essere sciolto che per mutuo consenso”, essa rappresenta a tutti gli effetti un nuovo contratto, il cui scopo è terminare quello precedente.
A differenza delle dimissioni (decisione della lavoratrice o del lavoratore) o del licenziamento (decisione dell’azienda), questa via non è un atto unilaterale, ma il risultato di una negoziazione tra le parti.
Le caratteristiche fondamentali di una risoluzione consensuale sono le seguenti:
- pieno consenso di entrambe le parti: è l’elemento essenziale. L’accordo non può essere né imposto né subito, ma deve nascere dalla volontà congiunta di interrompere il rapporto di lavoro;
- accordo scritto: sebbene la legge non imponga sempre una forma specifica, la formalizzazione tramite un accordo scritto è fondamentale per definire con certezza tutti i termini e le condizioni, tutelando entrambe le parti;
- negoziazione dei termini: l’accordo permette di negoziare aspetti cruciali come la data esatta di cessazione del rapporto, l’eventuale erogazione di un incentivo all’esodo (buonuscita), la rinuncia a eventuali pretese future e la gestione del preavviso;
- nessuna giustificazione necessaria: a differenza di un licenziamento, la risoluzione consensuale non richiede una “giusta causa” o un “giustificato motivo”. La volontà comune delle parti è di per sé una ragione sufficiente.
Perché scegliere la risoluzione consensuale: i motivi
Perché un’azienda e un dipendente dovrebbero preferire un accordo consensuale rispetto a un licenziamento unilaterale o a delle dimissioni volontarie?
Le ragioni sono diverse e spesso strategiche per entrambe le parti, che trovano in questa soluzione un punto d’incontro vantaggioso per gestire la chiusura del rapporto di lavoro.
Ma quali sono i vantaggi per le due parti? Scopriamoli insieme.
I vantaggi per l’azienda
Per il datore di lavoro, la risoluzione consensuale è uno strumento efficace per:
- evitare il rischio di contenzioso: un accordo firmato in sede protetta chiude la porta a future impugnazioni del licenziamento. Questo garantisce all’azienda la certezza di non dover affrontare lunghe e costose cause legali;
- gestire riorganizzazioni aziendali: in caso di necessità di ridurre il personale o di modificare l’organigramma, offrire un’uscita concordata può essere una via più rapida e meno conflittuale rispetto alle complesse procedure di licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo;
- chiudere rapporti lavorativi incrinati: quando la relazione professionale si è deteriorata ma non ci sono gli estremi per un licenziamento disciplinare, l’accordo consensuale offre una soluzione pulita e definitiva;
- mantenere un clima aziendale positivo: gestire le uscite in modo amichevole tutela la reputazione dell’azienda e rassicura i dipendenti che rimangono.
I vantaggi per il lavoratore
Anche il dipendente può avere ottimi motivi per accettare o proporre una risoluzione consensuale:
- ottenere un incentivo all’esodo (buonuscita): è il vantaggio principale. L’accordo spesso prevede il pagamento di una somma di denaro che il lavoratore non riceverebbe in caso di dimissioni e che può essere superiore a quanto spetterebbe in caso di licenziamento;
- accedere alla NASpI: a differenza delle dimissioni volontarie (che non danno diritto alla disoccupazione), la risoluzione consensuale formalizzata nelle sedi protette permette di richiedere l’indennità NASpI, garantendo un sostegno al reddito;
- uscire dall’azienda in modo amichevole: mantenere un buon rapporto con l’ex datore di lavoro è fondamentale per le referenze future e per la propria reputazione professionale;
- evitare un potenziale licenziamento disciplinare: se il lavoratore ha commesso un errore, un’uscita concordata è preferibile a un licenziamento per giusta causa, che macchierebbe il curriculum.
Gli svantaggi e i rischi da considerare
Se da un lato la risoluzione consensuale offre notevoli vantaggi, è fondamentale che il lavoratore sia consapevole anche dei potenziali svantaggi e dei rischi a cui va incontro, per poter negoziare con piena cognizione di causa.
I principali aspetti da valutare con attenzione sono:
- rinuncia a pretese future (effetto tombale): l’accordo di risoluzione consensuale firmato in sede protetta ha solitamente un “effetto tombale”. Questo significa che, accettando l’accordo e l’eventuale incentivo, il lavoratore rinuncia in modo definitivo a qualsiasi futura pretesa legata al rapporto di lavoro (es. differenze retributive, straordinari non pagati, contestazioni sul livello di inquadramento);
- perdita del diritto alla NASpI (se la procedura è errata): il diritto all’indennità di disoccupazione non è automatico. Se l’accordo non viene formalizzato in una delle sedi protette previste dalla legge (come l’Ispettorato del Lavoro), si perde l’accesso alla NASpI. È il rischio più grande e va evitato seguendo scrupolosamente la procedura corretta. Su questo aspetto torneremo più avanti nel corso dell’articolo;
- nessun obbligo per l’azienda: è importante ricordare che la risoluzione consensuale è un accordo, non un diritto del lavoratore. L’azienda non è obbligata ad accettarla né a offrire un incentivo all’esodo. Il potere contrattuale dipende molto dalle circostanze specifiche (es. necessità di riorganizzazione aziendale);
- mancanza del periodo di preavviso lavorato: a differenza del licenziamento, dove spesso si lavora durante il preavviso, qui la data di fine rapporto è fissata nell’accordo. Se non diversamente negoziato, questo può significare un’uscita più rapida dall’azienda e la necessità di iniziare subito la ricerca di un nuovo impiego.
Vantaggi e svantaggi a confronto: la tabella riepilogativa
Per avere un quadro d’insieme immediato, ecco una tabella che riassume i principali pro e contro della risoluzione consensuale dal punto di vista del lavoratore, aiutando a valutare se questa strada sia la più conveniente per la propria situazione.
| Vantaggi per la lavoratrice o il lavoratore | Svantaggi per la lavoratrice o il lavoratore |
|---|---|
| Incentivo economico: possibilità di negoziare e ottenere una buonuscita. | Rinuncia a pretese future: l’accordo chiude la porta a qualsiasi futura azione legale contro l’azienda. |
| Accesso alla NASpI: diritto all’indennità di disoccupazione se la procedura è corretta. | Perdita della NASpI: il diritto si perde se l’accordo non viene siglato in una sede protetta. |
| Uscita amichevole: mantenere buoni rapporti professionali e ottenere referenze positive. | Nessun preavviso lavorato: la data di uscita è concordata e può essere immediata, se non diversamente pattuito. |
| Evitare licenziamenti peggiori: scongiurare un licenziamento per giusta causa che danneggerebbe il curriculum. | Nessun obbligo per l’azienda: l’incentivo non è obbligatorio e l’importo dipende dalla negoziazione. |
La procedura passo-passo: come si formalizza l’accordo
La risoluzione consensuale non è un semplice scambio verbale, ma richiede una procedura precisa per essere valida e per tutelare i diritti di entrambe le parti, in particolare l’accesso della lavoratrice o del lavoratore alla NASpI.
Ecco i quattro passaggi chiave da seguire.
Fase 1: la negoziazione tra le parti
Tutto ha inizio con un dialogo, che può essere avviato sia dall’azienda che dal lavoratore.
In questa fase preliminare si discutono le basi dell’accordo: la volontà di interrompere il rapporto, la possibile data di cessazione e, soprattutto, l’eventuale incentivo all’esodo.
Consiglio per il lavoratore: è fondamentale non affrontare questa fase da soli. Farsi assistere fin da subito da un rappresentante sindacale, un avvocato giuslavorista o un consulente del lavoro è essenziale per negoziare da una posizione di forza e assicurarsi che i propri diritti siano pienamente protetti.
Fase 2: la redazione dell’accordo scritto
Una volta raggiunta un’intesa di massima, questa deve essere messa per iscritto in un “accordo di risoluzione consensuale”. Questo documento è cruciale e deve contenere con chiarezza tutti i termini pattuiti, tra cui:
- generalità delle parti: dati dell’azienda e del lavoratore;
- data di cessazione: il giorno esatto in cui il rapporto di lavoro terminerà;
- incentivo all’esodo (buonuscita): l’importo lordo esatto concordato e le modalità di pagamento;
- rinunce del lavoratore: la clausola in cui il lavoratore dichiara di non aver più nulla a pretendere dall’azienda (la cosiddetta “clausola tombale”);
- gestione delle competenze di fine rapporto: specifiche su come verranno liquidate ferie, permessi non goduti, TFR, ecc.
Fase 3: la validazione in sede protetta
Questo è il passaggio più importante per garantire la validità dell’accordo e, soprattutto, per assicurare il diritto alla NASpI.
L’accordo deve essere firmato in una delle cosiddette “sedi protette”, ovvero luoghi istituzionali che garantiscono che il consenso del lavoratore sia stato genuino e non viziato da pressioni.
Le principali sedi protette sono:
- l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL) competente;
- una sede sindacale, alla presenza di un conciliatore;
- le Commissioni di certificazione istituite presso enti bilaterali come Enfea, università o altri enti autorizzati.
Firmando l’accordo in una di queste sedi, la risoluzione consensuale diventa inoppugnabile e viene equiparata a una perdita involontaria del lavoro ai fini della disoccupazione.
Fase 4: la comunicazione di cessazione (UNILAV)
Una volta firmato e validato l’accordo, l’ultimo adempimento spetta al datore di lavoro.
L’azienda ha l’obbligo di inviare telematicamente il modello “UNILAV di cessazione” al Ministero del Lavoro entro 5 giorni dalla data di fine del rapporto, indicando come causale “risoluzione consensuale”.
Questo atto formale chiude definitivamente il rapporto di lavoro anche a livello amministrativo.
Risoluzione consensuale e diritto alla NASpI: quando spetta
Una delle domande più frequenti è se, accettando una risoluzione consensuale, si abbia ancora diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI).
La regola generale è che l’indennità spetta solo in caso di “perdita involontaria” del lavoro. Poiché la risoluzione consensuale è un accordo tra le parti, in teoria non rientrerebbe in questa casistica.
Tuttavia, esistono importanti eccezioni in cui la legge riconosce comunque il diritto alla NASpI, poiché la scelta del lavoratore è considerata “indotta” da circostanze esterne e non completamente volontaria.
Ecco i casi specifici in cui il lavoratore ha diritto a richiedere la NASpI anche dopo una risoluzione consensuale:
- accordo raggiunto in sede protetta: è il caso più comune. Se la risoluzione consensuale avviene nell’ambito della procedura di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL), l’accesso alla NASpI è garantito, come previsto dal D. Lgs 4 marzo 2015, n. 22. Questa procedura viene attivata solitamente a fronte di un imminente licenziamento per giustificato motivo oggettivo (es. riorganizzazione aziendale);
- rifiuto del trasferimento: se il lavoratore accetta una risoluzione consensuale perché rifiuta un trasferimento imposto dall’azienda verso un’altra sede. La condizione è che la nuova sede sia distante più di 50 km dalla sua residenza o sia raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblici.
- accordo di conciliazione post-licenziamento: se il lavoratore, dopo essere stato licenziato, accetta un’offerta economica da parte dell’azienda (la cosiddetta “offerta di conciliazione”) e rinuncia a impugnare il licenziamento, ha comunque diritto alla NASpI;
- risoluzione durante il periodo tutelato per la maternità: anche le lavoratrici madri (o i padri lavoratori) che risolvono consensualmente il rapporto di lavoro durante il periodo di tutela (fino al compimento di un anno di età del bambino) hanno diritto alla NASpI.
È quindi fondamentale che l’accordo venga formalizzato in una delle sedi e secondo le procedure previste dalla legge. In caso contrario, si rischia di perdere il diritto a questo importante sostegno al reddito.
Detto questo, la NASpI non è mai dovuta per i dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti.
L’incentivo all’esodo (o buonuscita): cos’è e come funziona
Spesso, l’elemento chiave di una risoluzione consensuale è l’incentivo all’esodo, comunemente noto come buonuscita. Si tratta di una somma di denaro o di altri benefici che l’azienda offre al dipendente per incoraggiarlo ad accettare l’accordo e a lasciare il posto di lavoro in modo amichevole.
L’importo e la natura dell’incentivo non sono fissati per legge, ma sono il risultato della negoziazione tra le parti. Oltre a una somma di denaro, gli incentivi possono includere:
- estensione di benefit: la copertura dell’assicurazione sanitaria o di altri benefit aziendali per un determinato periodo dopo la fine del rapporto;
- assistenza alla ricollocazione: servizi di supporto per aiutare il lavoratore a trovare un nuovo impiego, come la revisione del curriculum o la preparazione ai colloqui;
- piani di pensione anticipata: in alcuni casi, specialmente per i lavoratori più vicini all’età pensionabile, l’accordo può includere condizioni vantaggiose per l’accesso alla pensione.
La tassazione agevolata dell’incentivo all’esodo
Uno dei vantaggi più significativi dell’incentivo all’esodo è il suo trattamento fiscale di favore. A differenza dello stipendio, queste somme non sono soggette alla tassazione ordinaria con gli scaglioni IRPEF.
Si applica, invece, il regime della tassazione separata, lo stesso previsto per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), come stabilito dall’art. 17 del TUIR.
Ecco come funziona:
- aliquota media: l’imposta viene calcolata applicando l’aliquota media della tassazione IRPEF del lavoratore relativa ai due anni precedenti alla ricezione dell’incentivo. Questo meccanismo evita che la somma, spesso elevata, faccia “scattare” l’aliquota IRPEF più alta, risultando quasi sempre più conveniente per il dipendente;
- nessun contributo previdenziale: sulle somme erogate come incentivo all’esodo non si pagano i contributi previdenziali (INPS). Questo rappresenta un vantaggio sia per l’azienda (che risparmia il costo dei contributi a suo carico) sia per il lavoratore (che riceve un netto più alto).
Domande Frequenti (FAQ)
Accettando una risoluzione consensuale, si rinuncia definitivamente alla possibilità di fare causa all’azienda per qualsiasi questione legata al rapporto di lavoro, come differenze di stipendio o inquadramento. Inoltre, se la procedura non viene formalizzata correttamente in una sede protetta, si perde il diritto a ricevere l’indennità di disoccupazione NASpI.
Sì, si ha diritto alla NASpI a condizione che l’accordo venga firmato in una “sede protetta”, come l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL) o una sede sindacale. Questa procedura qualifica la perdita del lavoro come involontaria. In assenza di questo passaggio, il diritto alla NASpI viene meno, equiparando l’accordo a dimissioni volontarie.
Non esiste un importo fisso o minimo stabilito per legge. La buonuscita, o incentivo all’esodo, è interamente frutto della negoziazione tra l’azienda e il lavoratore. Il suo valore può dipendere da molti fattori, come l’anzianità di servizio, la necessità dell’azienda di ridurre il personale e la forza contrattuale delle parti coinvolte.
Assolutamente no. Come dice il nome stesso, l’accordo deve essere “consensuale”, ovvero basato sulla libera volontà di entrambe le parti. Qualsiasi imposizione o pressione da parte del datore di lavoro renderebbe l’accordo invalido. Il lavoratore ha sempre il diritto di rifiutare la proposta.
Una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore ha 68 giorni di tempo per presentare la domanda di NASpI all’INPS. È consigliabile avviare la pratica il prima possibile, poiché l’indennità decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, ma solo se la domanda viene presentata entro tale termine.
