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Il trasferimento del lavoratore: quando è legittimo e quali diritti ha il dipendente?

Categoria: Lavoro
Ott 23, 2025
Redazione
Una lavoratrice che impacchetta oggetti in una scatola in un ufficio moderno, simboleggiando il trasferimento del lavoratore.

Il trasferimento della lavoratrice o del lavoratore rappresenta una delle modifiche più significative nel rapporto di lavoro, incidendo profondamente sulla vita personale e familiare del dipendente.  

È importante, però, comprendere la distinzione tra un trasferimento legittimo e uno illegittimo, per conoscere i propri diritti e le tutele previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

Approfondiamo insieme il tema, partendo dalla definizione di trasferimento, per poi concentrarci sui requisiti di legittimità, le tutele speciali per alcune categorie di lavoratrici e lavoratori e le procedure per contestare un provvedimento ritenuto ingiusto.

Indice dei contenuti

Definizione e inquadramento normativo del trasferimento del lavoratore

Per orientarsi correttamente tra i diritti e gli obblighi che ne derivano, è essenziale comprendere la definizione legale di “trasferimento” e distinguerla da altre forme di mobilità geografica come la trasferta o il distacco

La corretta qualificazione dello spostamento, infatti, determina il quadro normativo applicabile e le garanzie a cui il lavoratore può appellarsi.

Trasferimento: in cosa consiste lo spostamento definitivo della sede di lavoro

Ai sensi dell’articolo 2103 del Codice Civile e secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza, il trasferimento consiste in una variazione definitiva e stabile della sede di lavoro del dipendente

L’elemento chiave che lo caratterizza è la permanenza: non è previsto un limite di durata prestabilito né un rientro programmato presso la sede originaria. Si tratta di una modifica strutturale del luogo in cui la lavoratrice o il lavoratore è tenuto a svolgere la propria prestazione lavorativa, spostandolo da un’unità produttiva a un’altra all’interno della stessa impresa.

Le differenze tra trasferimento, trasferta e distacco

È cruciale non confondere il trasferimento con altri istituti che comportano uno spostamento del lavoratore, poiché i presupposti legali e le tutele sono profondamente diversi.

Ecco una tabella utile a capire le differenza tra trasferimento, trasferta e distacco.

CaratteristicaTrasferimentoTrasferta(o Missione)Distacco
Natura dello spostamentoDefinitivo e stabile, senza rientro programmato.Temporaneo e occasionale, con rientro alla sede abituale.Temporaneo, per uno specifico interesse del datore distaccante.
Datore di lavoroVariazione tra unità produttive della stessa impresa.La prestazione è sempre per la stessa impresa, ma fuori sede.Il lavoratore opera presso un soggetto terzo (distaccatario).
Presupposti legaliRichiede “comprovate ragioni”.Giustificato da generiche esigenze di servizio.Richiede un interesse del datore e il consenso del lavoratore per modifiche sostanziali.

Il concetto di “unità produttiva”

La legge vincola la legittimità del trasferimento allo spostamento tra diverse “unità produttive”

L’unità produttiva è un’articolazione autonoma dell’azienda (come uno stabilimento, una filiale o un ufficio) dotata di indipendenza tecnica e amministrativa, in cui si realizza una parte essenziale del ciclo produttivo. 

Non ogni semplice cambio di ufficio nello stesso edificio costituisce un trasferimento in senso tecnico, ma solo lo spostamento verso un’entità aziendale con una propria autonomia funzionale.

I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) possono fornire definizioni più specifiche in merito. 

La corretta individuazione dei presupposti oggettivi è il fulcro della normativa a tutela del lavoratore, come vedremo analizzando i requisiti di legittimità.

La legittimità del trasferimento: i requisiti legali e il potere direttivo

Il trasferimento rientra nel potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, ma non è una facoltà illimitata

Il succitato articolo 2103 del Codice Civile pone dei limiti precisi per bilanciare le esigenze aziendali con il diritto del dipendente alla stabilità della propria vita personale e familiare, un bene di rilevanza costituzionale.

Le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” (TOP)

Il requisito fondamentale per la legittimità di un trasferimento è la sussistenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” (TOP)

Queste ragioni devono essere:

  • oggettive: non possono basarsi su motivazioni personali, discriminatorie o punitive;
  • reali e sussistenti: devono esistere effettivamente al momento in cui il trasferimento viene comunicato;
  • comprovabili: il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrarle in caso di contestazione.

Ecco alcuni esempi pratici:

  • la necessità di impiegare la lavoratrice o il lavoratore con competenze specifiche in un’altra sede;
  • la soppressione di un reparto o di una posizione lavorativa nella sede di provenienza;
  • una riorganizzazione aziendale che comporta l’accentramento di determinate funzioni in un’unica sede.

Il controllo del giudice sulle motivazioni aziendali

In caso di impugnazione, il controllo del giudice non entra nel merito dell’opportunità della scelta imprenditoriale (cioè non può decidere se un’altra soluzione sarebbe stata migliore), ma si concentra su tre aspetti chiave:

  1. verifica dell’effettiva esistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro;
  2. controllo sulla non pretestuosità di tali ragioni, per escludere che mascherino finalità illecite (discriminatorie, punitive);
  3. accertamento del nesso causale tra le esigenze aziendali e il trasferimento di quello specifico lavoratore.

Inoltre, il datore di lavoro è tenuto ad agire secondo i principi di correttezza e buona fede. Ciò significa che, a parità di soluzioni organizzative possibili, dovrebbe scegliere quella meno gravosa per il dipendente, specialmente se quest’ultimo ha serie ragioni familiari che ostacolano lo spostamento.

Il trasferimento per incompatibilità ambientale: quando è giustificato

Il trasferimento motivato da “incompatibilità ambientale” è ammesso dalla giurisprudenza, ma a condizioni rigorose per evitare che diventi una sanzione disciplinare mascherata. 

È legittimo solo quando i conflitti interpersonali o le tensioni nell’ambiente di lavoro creano una oggettiva e grave disfunzione organizzativa che compromette la produttività e la serenità dell’unità produttiva. In questo caso, lo spostamento non è una punizione per il comportamento del singolo, ma una misura organizzativa necessaria per ripristinare il corretto funzionamento dell’azienda.

La legittimità sostanziale del trasferimento, infine, deve sempre accompagnarsi al rispetto degli obblighi formali di comunicazione.

Formalità e comunicazione: preavviso e motivazione del trasferimento

Oltre alla sussistenza delle ragioni oggettive, la legge e i contratti collettivi impongono al datore di lavoro specifici obblighi formali nella comunicazione del trasferimento. Queste regole sono poste a garanzia della trasparenza della decisione e del diritto di difesa del lavoratore.

Obbligo di forma scritta della comunicazione di trasferimento

Sulla forma della comunicazione esistono interpretazioni diverse. 

La giurisprudenza prevalente sostiene che la legge, di per sé, non impone la forma scritta, a meno che non sia esplicitamente richiesta dal CCNL di riferimento o da un accordo individuale. 

Tuttavia, altre interpretazioni, basate sul D.Lgs. 152/1997, ritengono la forma scritta un obbligo per qualsiasi modifica di elementi essenziali del contratto, come il luogo di lavoro

In ogni caso, la comunicazione scritta è sempre fortemente raccomandata a fini probatori, per dare certezza sulla data e sul contenuto del provvedimento.

Il diritto del lavoratore di richiedere i motivi del trasferimento

Il datore di lavoro non ha l’obbligo di motivare contestualmente il trasferimento nella comunicazione iniziale. 

Tuttavia, se il lavoratore, una volta ricevuto il provvedimento, ne fa esplicita richiesta, il datore di lavoro è tenuto a comunicare per iscritto e in modo dettagliato le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” che lo giustificano. La mancata risposta a tale richiesta può rendere il trasferimento illegittimo.

Il preavviso di trasferimento: termini minimi previsti dai CCNL

La legge non stabilisce un termine minimo di preavviso per il trasferimento. Tuttavia, questo aspetto è quasi sempre disciplinato dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che fissano dei termini minimi per consentire al lavoratore di organizzare il proprio spostamento. 

Il mancato rispetto del preavviso contrattuale rende il trasferimento inefficace per il periodo corrispondente. 

Al di là delle regole generali, esistono categorie di lavoratrici e lavoratori che, per la loro condizione personale o il loro ruolo, godono di tutele speciali e rafforzate.

Tutele speciali e casi di trasferimento che richiedono il consenso

L’ordinamento giuridico prevede delle tutele rafforzate per specifiche categorie di lavoratori, subordinando il loro trasferimento al consenso esplicito. Questa protezione mira a tutelare la loro condizione di particolare vulnerabilità o a salvaguardare il loro ruolo istituzionale o sindacale.

Lavoratori con disabilità e caregiver (Legge 104/92)

L’articolo 33 della Legge 104/1992 prevede una tutela fondamentale per:

  • le lavoratrici e i lavoratori portatori di handicap in situazione di gravità;
  • le lavoratrici e i lavoratori che assistono un familiare con handicap grave (coniuge, parente o affine fino al terzo grado).

Queste persone non possono essere trasferite in un’altra sede di lavoro senza il loro esplicito consenso. Questo diritto, tuttavia, non è assoluto. La giurisprudenza ammette che possa essere superato solo in presenza di esigenze aziendali eccezionali e urgenti, non altrimenti soddisfacibili, che il datore di lavoro ha l’onere di provare rigorosamente (es. chiusura totale della sede di provenienza senza possibilità di ricollocazione).

Dirigenti Sindacali (RSA/RSU)

L’articolo 22 dello Statuto dei Lavoratori protegge i dirigenti delle Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) e i componenti delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU). Il loro trasferimento da un’unità produttiva a un’altra richiede il nulla osta preventivo dell’organizzazione sindacale di appartenenza

Un trasferimento effettuato senza tale autorizzazione è nullo e può configurare una condotta antisindacale.

Lavoratori con cariche pubbliche elettive

Ai sensi dell’art. 78 del D.Lgs. 267/2000, i lavoratori dipendenti che ricoprono cariche pubbliche elettive in amministrazioni locali (sindaci, assessori, consiglieri comunali o provinciali) non possono essere trasferiti senza il loro consenso per tutta la durata del mandato, al fine di non ostacolare l’esercizio della loro funzione pubblica.

Vincoli contrattuali per anzianità, distanza e famiglia

Molti CCNL e accordi aziendali introducono ulteriori vincoli che richiedono il consenso della lavoratrice o del lavoratore. Questi limiti sono spesso legati a una combinazione di età, anzianità di servizio e distanza

Ad esempio, tali accordi prevedono la necessità del consenso per:

  • lavoratrici e lavoratori con un’anzianità di servizio superiore a 22 anni e un’età superiore a 45/47 anni;
  • trasferimenti che superano determinate soglie chilometriche (es. 30, 50, 80 km), che variano in base all’anzianità di servizio e all’inquadramento del dipendente;
  • personale femminile in gravidanza o con figli di età inferiore a 3 anni.

Il diritto di avvicinamento previsto dai CCNL

Alcuni accordi collettivi prevedono un vero e proprio “Diritto di Avvicinamento” per le lavoratrici e i lavoratori trasferiti su iniziativa aziendale. Questa tutela offre una prospettiva di rientro e si articola in una procedura definita:

  1. il lavoratore trasferito a oltre 30 km dalla propria residenza può presentare domanda di avvicinamento dopo 18 mesi dal trasferimento;
  2. l’azienda si impegna a ricollocarlo entro i 30 km dalla residenza entro i successivi 24 mesi dalla richiesta;
  3. se l’azienda non adempie entro tale termine, ha l’obbligo di soddisfare la richiesta entro ulteriori 12 mesi, durante i quali al lavoratore viene corrisposta un’indennità di mobilità maggiorata.

Quando il trasferimento è legittimo e si concretizza, il lavoratore ha diritto a tutele economiche per compensare il disagio e le spese.

Diritti economici del dipendente trasferito: indennità e rimborsi

La normativa e la contrattazione collettiva riconoscono al lavoratore trasferito una serie di tutele economiche per compensare il disagio e coprire le spese vive sostenute a causa dello spostamento, specialmente quando questo comporta un cambio di residenza.

L’indennità di trasferimento e la tassazione agevolata

Molti CCNL prevedono un’indennità di trasferimento per compensare il disagio del dipendente. 

L’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) stabilisce un regime di tassazione agevolata per queste somme: l’indennità è esente da imposte e contributi per il 50% del suo importo, entro i seguenti limiti annui:

  • € 1.549,37 per trasferimenti sul territorio nazionale;
  • € 4.648,11 per trasferimenti all’estero.

Questa agevolazione fiscale si applica solo per il primo anno di erogazione dell’indennità, anche se questa viene corrisposta per più anni.

Rimborso delle spese di viaggio, trasloco e locazione

Oltre all’indennità, il lavoratore ha diritto al rimborso di specifiche spese sostenute a causa del trasferimento. Se analiticamente documentate, queste somme non concorrono a formare reddito imponibile

Le principali includono:

  • spese di viaggio per il lavoratore e i familiari a carico per raggiungere la nuova sede;
  • spese di trasporto del mobilio e dei bagagli;
  • oneri per il recesso anticipato dal contratto di affitto, come canoni persi, penali o caparre.

È fondamentale consultare il proprio CCNL, che spesso dettaglia le tipologie di rimborso e le modalità di erogazione.

Impugnazione del trasferimento: termini e procedure legali

Una lavoratrice o un lavoratore che ritiene un trasferimento illegittimo può contestarlo, ma deve seguire un percorso preciso e rispettare termini di decadenza molto stringenti per non perdere il diritto all’azione legale.

I termini di decadenza per l’impugnazione del trasferimento illegittimo

La procedura di impugnazione si articola in tre fasi temporali, a pena di decadenza:

  1. entro 60 giorni: dalla data di ricezione della comunicazione scritta del trasferimento, il lavoratore deve impugnare il provvedimento inviando al datore di lavoro un atto scritto (es. raccomandata A/R o PEC) con cui manifesta la sua volontà di contestarlo;
  2. entro 180 giorni: dall’invio dell’impugnazione, il lavoratore deve depositare il ricorso presso la cancelleria del Tribunale del Lavoro. In alternativa, entro lo stesso termine, può comunicare alla controparte la richiesta di avviare un tentativo di conciliazione o arbitrato;
  3. entro 60 giorni (successivi): se il tentativo di conciliazione o arbitrato fallisce o non si raggiunge un accordo, il lavoratore ha un ulteriore termine di 60 giorni da quel momento per depositare il ricorso in Tribunale.

Il rifiuto legittimo di prendere servizio: l’eccezione di inadempimento

Il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di prendere servizio nella nuova sede, invocando l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), ma solo quando il trasferimento è palesemente illegittimo (ad esempio, perché viola apertamente una norma di legge come la L. 104/92 o è totalmente privo di motivazione).

È fondamentale agire secondo buona fede: il lavoratore deve comunicare il proprio rifiuto motivato e mettersi a disposizione per continuare a lavorare presso la sede originaria. Un rifiuto ingiustificato a fronte di un trasferimento legittimo può portare a sanzioni disciplinari, incluso il licenziamento.

Conseguenze in caso di accertata illegittimità o nullità

Se il giudice accoglie l’impugnazione, le conseguenze per il datore di lavoro sono significative

La sentenza ordina la reintegrazione del lavoratore nella sede di lavoro originaria. Inoltre, il lavoratore ha diritto alla retribuzione per tutto il periodo in cui non ha lavorato a causa del trasferimento illegittimo e all’eventuale risarcimento dei danni, qualora riesca a provarli.

Esiste infine un’ultima casistica che tutela il lavoratore anche in caso di trasferimento legittimo ma particolarmente oneroso. Vediamolo insieme.

Trasferimento oneroso, dimissioni per giusta causa e NASpI

Anche quando un trasferimento è tecnicamente legittimo perché fondato su comprovate ragioni aziendali, la legge prevede una tutela per il lavoratore qualora lo spostamento risulti eccessivamente gravoso, riconoscendogli la facoltà di recedere dal rapporto per giusta causa e di accedere all’indennità di disoccupazione.

Il trasferimento come giusta causa di dimissioni

Un trasferimento che impone un disagio eccessivo, tale da rendere non più sostenibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, può configurare una giusta causa di dimissioni

Dimissioni per trasferimento oltre 50 km: accesso all’indennità NASpI

La legge prevede una tutela specifica quando la nuova sede di lavoro è particolarmente distante

Nello specifico, se il trasferimento avviene verso un’unità produttiva che si trova:

  • a più di 50 km dalla residenza del lavoratore;
  • oppure, pur essendo entro i 50 km, è raggiungibile con i mezzi pubblici in un tempo superiore a 80 minuti.

In questi casi, le dimissioni del lavoratore sono equiparate a una perdita involontaria del lavoro e danno diritto a percepire l’indennità di disoccupazione NASpI

Mentre l’INPS tende a richiedere la prova dell’illegittimità del trasferimento, la giurisprudenza (come una sentenza del Tribunale di Torino) ha stabilito che il diritto alla NASpI spetta a prescindere dalla legittimità del provvedimento datoriale, in quanto il disagio oggettivo giustifica le dimissioni come scelta non volontaria.

Diritto all’indennità sostitutiva del preavviso in caso di dimissioni per giusta causa

Come per tutte le dimissioni rassegnate per giusta causa, anche quelle motivate da un trasferimento eccessivamente oneroso danno diritto alla lavoratrice o al lavoratore di ricevere dal datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso, come se fosse stato licenziato.

Domande frequenti (FAQ)

1. Cos’è il trasferimento del lavoratore e in cosa differisce dalla trasferta? 

Per trasferimento si intende il cambio definitivo e stabile dell’unità produttiva di lavoro del dipendente. Comporta lo spostamento permanente e senza limiti di durata in una sede diversa da quella originariamente concordata. Si differenzia dalla trasferta, che invece è un cambio provvisorio e temporaneo del luogo di lavoro per specifiche esigenze di servizio.

2. Quali sono i requisiti che rendono legittimo un trasferimento?

Il trasferimento può essere disposto solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (TOP), come stabilito dall’Art. 2103 c.c.. Queste motivazioni devono essere oggettive, realmente connesse all’attività d’impresa ed esistenti al momento in cui la decisione viene comunicata.

3. Il datore di lavoro è obbligato a fornire i motivi del trasferimento?

Il datore di lavoro non ha l’obbligo di indicare i motivi contestualmente all’adozione del trasferimento. Tuttavia, l’obbligo di comunicare per iscritto le ragioni specifiche sorge qualora il lavoratore ne faccia esplicita richiesta. L’assenza di una motivazione adeguata può rendere il provvedimento nullo o inefficace.

4. Il trasferimento può comportare un demansionamento o una riduzione retributiva?

No, il trasferimento non deve incidere aprioristicamente sulle mansioni e sul livello retributivo del dipendente. Un trasferimento che implichi l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte renderebbe il trasferimento illegittimo. Possono, tuttavia, essere eliminate indennità legate alle mansioni non più esercitate.

5. Quali sono le categorie di lavoratori che non possono essere trasferite senza consenso?

Non possono essere trasferiti senza il proprio consenso: i lavoratori disabili gravi o coloro che assistono con continuità un familiare disabile grave (L. 104/92). Sono protetti anche i dirigenti sindacali (RSA/RSU), per i quali serve il nulla osta dell’Organizzazione Sindacale, e i lavoratori che ricoprono cariche pubbliche elettive.

6. Se mi rifiuto di accettare un trasferimento illegittimo, rischio il licenziamento?

Se il trasferimento è manifestamente illegittimo, il rifiuto del lavoratore di assumere servizio nella nuova sede è considerato giustificato, in base all’eccezione di inadempimento (Art. 1460 c.c.). In tal caso, l’eventuale licenziamento per inadempimento del lavoratore risulterebbe illegittimo.

7. In quanto tempo devo impugnare un trasferimento che ritengo illegittimo?

Il lavoratore ha un termine di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione scritta per impugnare il trasferimento. L’impugnazione diventa inefficace se non è seguita, entro i successivi 180 giorni, dal deposito del ricorso in tribunale o dalla richiesta di conciliazione/arbitrato.

8. Se il trasferimento è troppo lontano, posso dimettermi e ottenere la NASpI?

Sì, se il trasferimento è disposto a più di 50 km dalla residenza o se la nuova sede non è raggiungibile in meno di 80 minuti con mezzi pubblici. In questa ipotesi, le dimissioni sono considerate per giusta causa, equiparate a perdita involontaria dell’occupazione e danno diritto all’indennità di disoccupazione NASpI.

9. Ho diritto a indennità economiche o rimborsi spese per il trasferimento? 

Il lavoratore trasferito ha spesso diritto a un’indennità di trasferimento (o prima sistemazione), che non concorre a formare reddito nella misura del 50% entro limiti annui stabiliti. Sono rimborsate le spese documentate di viaggio, trasloco e gli oneri per recesso anticipato dal contratto di locazione.

10. L’azienda deve tenere conto delle mie condizioni personali o familiari?

Sì, nel disporre il trasferimento, l’Azienda deve tener conto anche delle condizioni personali e di famiglia dell’interessato. Accordi collettivi possono prevedere il diritto al consenso al trasferimento in base all’anzianità di servizio, all’età e alla presenza di familiari a carico.

ENFEA è l’ente bilaterale costituito da CONFAPI e CGIL, CISL e UIL a cui aderiscono le imprese che applicano i CCNL UNIGEC/UNIMATICA, UNIONCHIMICA, UNITAL, CONFAPI ANIEM, UNIONTESSILE e UNIONALIMENTARI.

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