Una delle pratiche eseguite nei confronti di una lavoratrice o di un lavoratore dipendente, e ascrivibile al fenomeno denominato mobbing, è il demansionamento ingiustificato.
Si tratta, come vedremo più nel dettaglio, di un’azione intrapresa dall’azienda nei confronti del dipendente che non trova fondamento in alcuna ragione motivata, con il solo scopo di declassare e demotivare il/la dipendente, e spingerlo/a a rassegnare le proprie dimissioni.
È importante sottolineare questo aspetto, ovvero che il problema si pone in mancanza di una giustificazione valida alla base della decisione di destinare la lavoratrice o il lavoratore a mansioni meno qualificanti e non in caso di un mero demansionamento, perché quest’ultimo potrebbe, in alcuni casi, essere motivato da reali ragioni aziendali e produttive.
Approfondiamo insieme e cerchiamo di capire cosa s’intende per demansionamento ingiustificato e come può tutelarsi il dipendente.
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Cosa s’intende per demansionamento ingiustificato
Il demansionamento ingiustificato si verifica quando un lavoratore viene declassato o spostato da una posizione che corrisponde alle sue competenze, esperienze e qualifiche a una meno qualificante, senza una giustificazione valida e legittima da parte dell’azienda.
In altre parole, si parla di demansionamento senza giusta causa quando un datore di lavoro decide di ridurre le responsabilità o il livello di posizione di un lavoratore o di una lavoratrice senza una ragione legittima, ad esempio come reazione per aver esercitato i propri diritti sindacali e legali o per discriminazione basata su razza, età, sesso o altre caratteristiche protette dalla legge.
Il demansionamento ingiustificato può avere gravi conseguenze per il dipendente, tra cui una riduzione del salario e delle opportunità di crescita professionale, nonché danni morali e reputazionali, e costituisce una violazione dei diritti del lavoratore, che può quindi rivalersi in sede legale.
Quando il demansionamento è giustificato?
Il principio di partenza – il cosiddetto principio di contrattualità delle mansioni – è molto semplice: la lavoratrice o il lavoratore deve essere adibita/o alle mansioni per le quali è stata/o assunta/o.
Detto questo, tecnicamente il datore di lavoro ha la facoltà di adibire un dipendente a una differente mansione.
Nel dettaglio si può procedere a una modifica a livello orizzontale, quindi adibendo il dipendente a mansioni diverse nel medesimo livello di inquadramento, o verticale, verso l’alto con mansioni e posizioni più elevate, o verso il basso per esigenze dell’impresa e per un periodo definito mantenendo l’inquadramento e la retribuzione precedente laddove previsto contrattualmente e secondo le procedure previste.
In quest’ultimo caso si parla, effettivamente, di demansionamento.
Questa variazione, però, può avvenire solo se sussistono le condizioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e dalla legislazione vigente.
Nello specifico, si fa riferimento a una norma, l’articolo 2103 del Codice Civile, che stabilisce quanto segue:
“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.”
Nel secondo comma il legislatore chiarisce che il lavoratore può essere destinato a mansioni meno qualificanti rispetto a quelle iniziali nelle seguenti ipotesi:
- in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
- ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi;
- in presenza di un accordo individuale, sempre nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
In ogni caso, è fatto obbligo per il datore di lavoro comunicare le ragioni del cambio di mansioni, procedere alla formazione obbligatoria e garantire la “conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”.
La formulazione contenuta nel succitato articolo del codice civile è stata leggermente modificata dall’art. 3 D.Lgs. n. 81/2015.
Le eccezioni previste dalla legge
Come abbiamo visto il cambio di mansione giustificato può avvenire a determinate condizioni, ma la legge prevede anche alcune eccezioni, ovvero situazioni che rendono il demansionamento giustificato:
- nel caso di licenziamenti collettivi, in cui la destinazione del lavoratore o della lavoratrice a mansioni inferiori è necessaria per riassorbire gli esuberi secondo quanto stabilito da un apposito accordo sindacale (art. 4, co. 11, L. 223/1991);
- nel caso di lavoratrici madri durante la gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto, se le condizioni ambientali o il tipo di attività sono pregiudizievoli per la loro salute (art. 7, L. 151/2001);
- in caso di inabilità del lavoratore a svolgere le mansioni assegnate a causa di infortunio o malattia (artt. 1 co. 7 e 4, co. 4 L. 68/1999; art. 42 D.Lgs. 81/2008);
- nel caso in cui si renda necessario proteggere il lavoratore o la lavoratrice dall’esposizione a agenti fisici, chimici o biologici (art. 229, co. 5, D.Lgs. 81/2008).
In tutti gli altri casi, si può parlare di demansionamento ingiustificato e rivalersi nei confronti del datore di lavoro rivolgendosi al sindacato.
Come tutelarsi?
Se il demansionamento è ingiustificato, ovvero non trova motivazione in una delle condizioni fin qui elencate, la lavoratrice o il lavoratore potrà rivolgersi al tribunale di competenza per tutelarsi nei confronti del datore di lavoro.
Rivolgendosi al sindacato di appartenenza è possibile dimostrare la natura discriminatoria del demansionamento e chiedere i danni all’azienda. La vertenza può essere risolta solo con l’azione del sindacato o tramite il supporto di un legale presente nelle sedi sindacali.
Ci riferiamo, in particolare, a:
- danni patrimoniali, derivanti dalla riduzione della retribuzione originale causata dal declassamento, ma anche dalla perdita di opportunità di crescita professionale, con conseguente aumento dello stipendio;
- danni non patrimoniali, che potremmo definire anche danni morali, provocati dalle angherie subite in azienda.
In alcuni casi è possibile ricorrere alla mediazione, in modo da trovare un accordo con l’azienda senza dover dare seguito a procedure legali.
Chi subisce il demansionamento ingiustificato ha inoltre la facoltà di dimettersi per giusta causa.