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Cosa s’intende per mobbing sul luogo di lavoro

Categoria: Lavoro
Feb 16, 2023
Redazione
Cosa s'intende per mobbing sul luogo di lavoro

Da qualche anno in Italia si parla in maniera più diffusa di mobbing sul luogo di lavoro, un fenomeno che, secondo alcuni dati forniti dall’INAIL (aggiornati al dicembre 2006), colpisce circa 1 milione di lavoratrici e lavoratori nel nostro Paese, in prevalenza donne. 

Si tratta, insomma, di una realtà tutt’altro che di nicchia, ma estremamente diffusa, che causa disagio psico-fisico a una grande quantità di persone

Purtroppo, in Italia non esiste una legge specifica contro il mobbing, ma come vedremo più nel dettaglio nel corso dell’articolo questo non vuol dire che non esistano strumenti normativi e legislativi ai quali appellarsi per difendersi contro le malversazioni subite sul luogo di lavoro. 

Approfondiamo insieme e cerchiamo di capire cosa s’intende per mobbing sul luogo di lavoro e come difendersi

Cos’è il mobbing

Secondo quanto riportato dal Comitato Paritetico sul fenomeno del Mobbing del Ministero della Difesa, il termine mobbing ha una doppia derivazione: dal verbo inglese “to mob”, che significa “assalto di gentaglia o plebaglia”, e dal latino “mobile vulgus”, che significa “il movimento della gentaglia”

In origine il termine viene introdotto in un differente ambito, precisamente l’etologia, dallo studioso Konrad Lorenz, con l’intento di indicare una pratica molto diffusa nel mondo degli uccelli eseguita per contrastare l’attacco di un predatore più grande. Gli uccelli, infatti, radunandosi in gruppo, riescono a resistere a un attacco, mettendo in fuga l’assalitore che, se fosse stato affrontato singolarmente, avrebbe avuto sicuramente la meglio. 

Quindi, da questo punto di vista il mobbing aveva un’accezione positiva se confinato al settore dell’etologia, ma è solo con l’intervento di Heins Leymann, uno psicologo e psichiatra di origine tedesca, che il termine viene applicato al mondo del lavoro, e definito come:

“una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica da uno o più soggetti, di solito nei confronti di un unico individuo che, a causa di tale persecuzione, si viene a trovare in una condizione indifesa e diventa oggetto di continue attività vessatorie e persecutorie che ricorrono con frequenza sistematica nell’arco di un periodo di tempo non breve, causandogli considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali.”

Quando si parla di mobbing sul lavoro?

Partendo dall’etimologia della parola, con l’espressione mobbing sul luogo di lavoro si indica letteralmente un’aggressione subita in azienda da un/una lavoratore/lavoratrice da parte dei suoi superiori, colleghi o sottoposti.

Ma cosa vuol dire, nel concreto? Una definizione molto puntuale è stata fornita da Harald Ege, psicologo del lavoro e maggior esperto in Italia di mobbing, che ha adattato le teorie di Leymann al contesto italiano: 

“il mobbing è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato, a lungo andare, accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti”.

Quindi, analizzando con attenzione questa definizione possiamo dire che si parla di mobbing sul luogo di lavoro quando si presenta una situazione di conflittualità che perdura nel tempo, perpetrata da uno o più aggressori nei confronti di un lavoratore o una lavoratrice, e che può provocare danni psico-fisici più o meno gravi, con l’obiettivo di costringere la vittima alle dimissioni o comunque a uscire dall’ambito lavorativo, per ragioni di concorrenza, gelosia, invidia o di altro comportamento o sentimento socialmente deprecabile.

Mobber, Mobbizzato, Spettatori

Il fenomeno del mobbing sul luogo di lavoro coinvolge numerose persone, che possiamo dividere in 3 categorie

  1. Mobber: colui che mette in pratica i comportamenti ascrivibili al mobbing
  2. Mobbizzato: colui che subisce il mobbing
  3. Spettatori: i colleghi di lavoro che sono a conoscenza della situazione, assistono agli episodi di malversazione e violenza, senza prendere posizione o difendere il mobbizzato. Da questo punto di vista è considerabile come un complice, non a caso si utilizza anche il termine “co-mobber” per indicarlo. 

I vari tipi di mobbing

Il mobbing può manifestarsi in maniera differente a seconda degli attori coinvolti, della vittima, dell’aggressore e delle modalità di esecuzione dei comportamenti deprecabili. 

La classificazione più diffusa è la seguente: 

  • Mobbing Verticale: quando l’attività vessatoria è eseguita e perpetrata dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico del mobbizzato
  • Mobbing Orizzontale: quando la violenza psicologica proviene da parte di colleghi di lavoro o addirittura da soggetti subordinati gerarchicamente alla vittima. In questo caso, si parla spesso anche di mobbing ascendente
  • Mobbing collettivo: quando si registra una strategia comune, che vede il datore di lavoro come “ispiratore” e i colleghi come “esecutori”
  • Bossing: quando il mobbing verticale praticato dai superiori e si configura come una strategia aziendale per eliminare lavoratori senza incappare in vertenze sindacali
  • Doppio Mobbing: si realizza quando il mobbizzato carica la propria famiglia di tutte le sue problematiche e, dopo una prima fase di comprensione si verifica una condizione di distacco familiare che, quando la situazione si aggrava, porta a un ulteriore isolamento dell’individuo
  • Mobbing trasversale: è quello messo in atto da persone al di fuori dell’ambito lavorativo che, in accordo col il mobber, creano ulteriore emarginazione e discriminazione nei confronti della vittima quando questi cerca appoggio o cerca di farsi apprezzare.

A seconda delle motivazioni che spingono i mobber a compiere queste azioni, si può parlare di mobbing emozionale e mobbing strategico

Quali sono i comportamenti definibili mobbing?

Per rispondere a questa domanda è opportuno fare riferimento a quanto stabilito dalla Corte suprema di Cassazione, nella “Relazione 10 novembre 2008, n. 142 – Il Mobbing”, al cui interno si legge che le forme che il mobbing può assumere sul posto di lavoro nei confronti di una lavoratrice o di un lavoratore sono diverse, e possono consistere in:

  • pressioni o molestie psicologiche;
  • calunnie sistematiche;
  • maltrattamenti verbali e offese personali;
  • minacce o atteggiamenti miranti a intimorire ingiustamente o avvilire, anche in forma velata e indiretta;
  • critiche immotivate e atteggiamenti ostili;
  • delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi e a soggetti estranei all’impresa, ente o amministrazione;
  • esclusione o immotivata marginalizzazione dall’attività lavorativa ovvero svuotamento delle mansioni;
  • attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore;
  • attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;
  • impedimento sistematico e immotivato all’accesso a notizie e informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
  • marginalizzazione immotivata del lavoratore rispetto a iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale;
  • esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;
  • atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni.

È importante ricordare, però, che per essere configurabile come mobbing è necessario che 

“gli atti di persecuzione acquistino i requisiti della sistematicità e della durata, per quanto non si esclude che anche un singolo atto lesivo possa rilevare ove i relativi effetti siano duraturi”.

I parametri e le fasi del mobbing secondo Harald Ege

Al fine di standardizzare e facilitare l’individuazione di pratiche ascrivibili al fenomeno del mobbing, e distinguerle da dinamiche interpersonali estranee a questioni di carattere strettamente lavorativo, Harald Ege ha elaborato un percorso basato su 7 parametri da accertare.

  • Ambiente lavorativo: la vicenda conflittuale deve avvenire sul posto di lavoro.
  • Frequenza: la frequenza degli attacchi e dei comportamenti ostili deve essere almeno di alcune volte al mese. Secondo la precedente definizione di Leymann, almeno una volta a settimana.
  • Durata: la durata del conflitto deve protrarsi per almeno sei mesi, oppure tre mesi nel caso in cui la frequenza degli attacchi sia quotidiana e le azioni siano dotate di particolare forza conflittuale e carica persecutoria.
  • Tipo di azioni: le azioni condotte dagli aggressori devono essere riconducibili ad almeno due delle cinque tipologie di comportamenti “mobbizzanti” elaborati da Edge, ovvero:
    • negazione degli atti umani: si impedisce alla vittima di comunicare con i colleghi di lavoro;
    • isolamento sistematico: si pone la vittima lontano dai colleghi;
    • demansionamento o privazione assoluta di qualsiasi mansione;
    • attacchi alla reputazione della persona, con riguardo alle opinioni politiche o alla vita privata;
    • violenza o molestie sessuali.
  • Dislivello tra gli antagonisti: la condizione di mobbing prevede che ci sia dislivello di potere tra i due protagonisti della vicenda conflittuale, con la conseguenza che la vittima si viene a trovare sempre in una condizione di svantaggio. Abbiamo visto, però, che non è sempre così. Spesso la relazione è di pari grado o, addirittura, le azioni provengono da un sottoposto. 
  • Andamento secondo fasi successive: il mobbing risulta essere un vero e proprio processo che evolve gradualmente nel tempo secondo determinate tappe, denominate “fasi del mobbing”.
  • Intento persecutorio: la volontà di danneggiare la vittima può essere motivata da uno scopo politico e di strategia aziendale, ma anche da fattori emozionali inconsci come sentimenti di rivalsa e invidia o fattori caratteriali favoriti da alcuni tratti di personalità.

Sempre a Harald Ege, esperto di mobbing, si deve la classificazione del mobbing in 6 fasi, che rappresenta un’evoluzione di quella proposta in precedenza da Leymann in 4 fasi. 

Le 6 fasi del mobbing (7 se si considera la fase 0) sono le seguenti:

  1. La “Condizione Zero” o Condizione Predisponente: si tratta di una pre-fase normalmente presente in Italia ma sconosciuta nella cultura nord-europea, caratterizzata dal conflitto aziendale fisiologico, normale ed accettato nel nostro Paese;
  2. I Fase – Il conflitto mirato: è la fase del mobbing in cui si individua una vittima che diventa il “capro espiatorio” sul quale si veicola la conflittualità generalizzata;
  3. II Fase – L’inizio del mobbing: gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio;
  4. III Fase – Primi sintomi psico-somatici: la vittima manifesta i primi problemi di salute. Questa situazione può protrarsi per lungo tempo, causando senso di insicurezza, panico, insonnia e problemi digestivi;
  5. IV Fase – Errori e abusi dell’amministrazione del personale: il caso di mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’Ufficio del Personale;
  6. V Fase – Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima: il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione, di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie che hanno solo un effetto palliativo, in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi;
  7. VI Fase – Esclusione dal mondo del lavoro: implica l’uscita della vittima dal mondo del lavoro tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al prepensionamento, richiesta di malattia professionale e pensione di invalidità. Nei casi più gravi potrebbe addirittura sviluppare manie ossessive quali l’omicidio o la vendetta sul mobber.

Come difendersi dal mobbing sul luogo di lavoro

Come accennato nell’introduzione, in Italia non esiste ad oggi una legge dedicata al fenomeno del mobbing, ma questo non vuol dire che non ci siano riferimenti normativi e costituzionali ai quali fare riferimento per difendersi

Quali sono queste norme? 

  • Gli articoli della Costituzione dedicati alla tutela della persona, nello specifico gli articoli 2, 3, 4;
  • l’articolo 32 della Costituzione, con il quale si dichiara che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività;
  • l’articolo 35 della Costituzione, con il quale si stabilisce che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni;
  • l’articolo 41 della Costituzione, secondo il quale l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana;
  • l’articolo 2087 del Codice Civile, “Tutela delle condizioni di lavoro”, che recita come segue “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”;
  • in alcuni casi, i comportamenti riconducibili al fenomeno del mobbing possono sfociare in responsabilità di tipo penale. Gli articoli del Codice penale di riferimento sono: 
  • la Legge 20 maggio 1970, n. 300, noto come Statuto dei Lavoratori;
  • il D. Lgs. 81/2008 recante disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • la Direttiva del 24 marzo 2004 del Ministero per la Funzione Pubblica, recante misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni.

Nel corso degli ultimi anni si sono espressi in merito a casi di mobbing numerose volte la Corte di Cassazione e vari tribunali, così come alcune Regioni, che hanno emanato delle Leggi regionali dedicate al contrasto di questo fenomeno. 

Come comportarsi in caso di mobbing

Se un lavoratore o una lavoratrice è oggetto di mobbing può rivolgersi al proprio rappresentante sindacale, al Sindacato Confederale, che con i suoi servizi di tutela potrà assistere la persona in difficoltà, oppure a un legale, per difendersi dai comportamenti lesivi subiti in ambito lavorativo

ENFEA è l’ente bilaterale costituito da CONFAPI e CGIL, CISL e UIL a cui aderiscono le imprese che applicano i CCNL UNIGEC/UNIMATICA, UNIONCHIMICA, UNITAL, CONFAPI ANIEM, UNIONTESSILE e UNIONALIMENTARI.

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