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Il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment, or Training)

Categoria: Lavoro
Ott 5, 2023
Redazione
Il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment, or Training)

Il termineNEET viene comunemente usato per indicare le ragazze e i ragazzi con un’età compresa tra i 15 e i 29 anni che non hanno un lavoro, non lo ricercano attivamente e che non sono inseriti all’interno di percorsi di istruzione o di formazione professionale

In pratica, si tratta di un indicatore statistico che serve a censire quei giovani che, terminato l’obbligo scolastico, presentano un maggiore rischio di incontrare difficoltà nella partecipazione attiva alla vita sociale. 

È opportuno precisare che in molti Paesi l’obbligo scolastico termina dopo i 15 anni ma, per rendere comparabili i dati a livello internazionale, si è scelto di far riferimento a questa come età di partenza.

Riuscire a identificare, monitorare e supportare questa parte della popolazione è molto importante. La letteratura scientifica di settore afferma, infatti, che i Paesi in cui si riscontra un’importante percentuale di NEET nel lungo periodo vanno incontro a problematiche sia di tipo economico che sociali: la consistente perdita di capitale umano, se non arginata, si traduce nel tempo in un calo misurabile attraverso il decremento del PIL.

Progettare e implementare delle iniziative per promuovere lo sviluppo di competenze trasversali è quindi utile a favorire il corretto inserimento di queste persone inattive nei contesti lavorativi e nella società.

Diamo insieme uno sguardo ai dati, per approfondire le caratteristiche del fenomeno dei NEET e per comprendere meglio cosa comporta il farne parte.

Che cosa si intende per NEET?

NEET è l’acronimo di Not (engaged) in Education, Employment or Training. Questa sigla è stata utilizzata per la prima volta nel 1999 nel Regno Unito per definire un indicatore statistico che, inizialmente, faceva riferimento ai giovani britannici inattivi di età compresa tra i 16 e i 24 anni. 

In seguito, l’uso di questo costrutto si è diffuso anche all’interno di altri contesti, nazionali e internazionali, in quanto consente di rappresentare in maniera efficace un fenomeno sociale che può causare l’inasprimento delle disuguaglianze. In Italia, utilizziamo lo stesso acronimo, ma traducendo la nomenclatura estesa con “non impegnati nell’istruzione, nel lavoro o nella formazione professionale”

Solitamente, si considerano NEET gli under 30 che hanno terminato la scuola dell’obbligo, fissata per convenzione a 15 anni, e che soddisfano i seguenti requisiti:

  • non avere un lavoro;
  • non essere attivamente alla ricerca di un impiego;
  • non essere impegnati in alcun tipo di percorso formativo, sia di istruzione sia di formazione professionale.

Non tutti i ricercatori fanno però riferimento agli stessi parametri anagrafici per le loro indagini, poiché il termine dell’obbligo formativo varia a seconda del Paese. 

È prassi abbastanza condivisa quella di classificare i NEET come giovani inattivi tra i 15 ai 29 anni. Altre ricerche includono invece nella categoria anche i giovani fino ai 35 anni che vivono ancora con i genitori.

Come si calcolano i NEET?

Non è semplice quantificare il numero dei NEET. Essendo richiesti molti parametri, è necessario incrociare i dati provenienti da diversi database. L’Italia, come anche altri Paesi, ha vari enti preposti al monitoraggio sia del sistema di istruzione e formazione sia delle politiche lavorative:

  • l’INVALSI, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione;
  • l’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca;
  • l’INAPP, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche;
  • l’ANPAL, l’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro.

Tutti questi enti afferiscono al Sistan, il Sistema statistico nazionale, coordinato dall’Istat, che ha il compito di fornire al Paese e agli organismi internazionali l’informazione statistica ufficiale.

I dati relativi ai NEET vengono quindi diffusi mediante le rilevazioni sulla forza lavoro dell’Istat e con quelle dell’Eurostat.

I dati comunitari dell’Eurostat non sono però gli unici che consentono un confronto con altre realtà nazionali più o meno simili alla nostra. La disponibilità di dati e il maggior numero di variabili che si osservano in Paesi con caratteristiche demografiche, culturali e socio-economiche molto variegate permette di effettuare analisi più approfondite e favorisce la condivisione di buone pratiche educative.

L’Italia, ad esempio, fa parte dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, e collabora alle ricerche internazionali che si svolgono nei Paesi aderenti, tra cui l’indagine PISA sulle competenze degli studenti e l’indagine PIAAC sulle competenze degli adulti.

Quanti sono i NEET in Italia?

Passando ad analizzare i dati, l’ultima rilevazione Eurostat afferma che, considerando i giovani tra i 15 e i 29 anni, nel 2022 in Italia la percentuale di NEET è del 19%. 

Siamo il secondo Paese europeo per numero di ragazzi inattivi, dopo la Romania che si attesta al 19,8%.

NEET in Europa

La media della UE è invece dell’11,7%. L’obiettivo comunitario è di riuscire a ridurre il valore medio europeo al 9% entro il 2030.

L’andamento dei dati del nostro Paese nel tempo appare strettamente correlato agli avvenimenti socio-politici: sempre l’Eurostat dice che, dopo il picco del 27,4% (dato relativo alla fascia di età 15-34 anni) del 2014 dovuto alla Grande recessione, negli anni la percentuale di NEET è calata.

Dal 2020 al 2022 i dati mostrano però un nuovo incremento del tasso dei giovani inattivi, che sarà con buona probabilità ancora più evidente nelle prossime rilevazioni. Questo incremento, che si riscontra anche a livello globale, è dovuto all’effetto della pandemia da Covid-19. La rilevanza dell’impatto della recente situazione di emergenza sanitaria sarà meglio quantificabile grazie ai dati delle prossime rilevazioni.

Per comprendere meglio la situazione del nostro Paese, al netto degli effetti della pandemia, andiamo a rileggere i dati Eurostat relativi al 2020, ben sintetizzati nel documento Neet Working pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Facendo riferimento alla fascia di età 15-34 anni, nel 2020 in Italia i NEET erano più di 3 milioni, circa 1 giovane italiano su 4 (il 25,1%).

Tra questi, più di 1,7 milioni erano donne. Il dato più preoccupante relativo al divario di genere è quello per cui la percentuale di donne NEET sul totale subisce un incremento nella crescita: si passa dal 45% delle ragazze inattive tra i 15-19 anni al 66% di donne NEET della fascia 30-34.

Anche il titolo di studio influenza l’incidenza del fenomeno; maggiore è il livello di istruzione e minore è la possibilità di ritrovarsi nella percentuale dei NEET.

Emergono poi sostanziali differenze a livello regionale: l’Italia centro-settentrionale presenta percentuali in linea o al di sotto della media europea, nel Mezzogiorno invece si evidenziano maggiori criticità.

Quali fattori provocano il fenomeno dei NEET?

Decenni di letteratura scientifica sull’argomento, e consistenti moli di dati acquisiti, mostrano in maniera abbastanza chiara che l’origine del fenomeno dei NEET è multifattoriale e fortemente influenzata dal contesto socio-economico di provenienza; tra le principali cause la dispersione scolastica, l’interruzione di percorsi di istruzione o di formazione e l’avere un basso rendimento scolastico.

Tra i fattori che impattano sulle decisioni inerenti la prosecuzione nel percorso formativo, sui livelli di competenze apprese e sulle scelte effettuate in ambito lavorativo, troviamo:

  • il genere: questo tipo di divario si manifesta già a scuola, dove ad esempio ancora si osservano differenze di rendimento nelle discipline STEM, e si incrementa all’ingresso del mondo del lavoro, in cui tuttora si registrano differenze nelle retribuzioni;
  • il livello di istruzione dei genitori: il background familiare influisce in maniera abbastanza evidente sui risultati scolastici. Avere genitori più istruiti spesso consente di ricevere una maggiore assistenza nello studio e si traduce solitamente in maggiori risorse a disposizione (più libri in casa, più device elettronici a disposizione, più spazi in cui poter studiare, ecc.);
  • le risorse del nucleo familiare: una maggiore disponibilità di risorse, economiche e non, consente di avere ulteriori vantaggi. Ad esempio, un maggiore benessere economico può comportare una migliore alimentazione, che solitamente porta benefici a livello psicofisico. Una situazione familiare più florida consente inoltre l’accesso a maggiori risorse culturali che consentono più conoscenze e competenze. Una minore disponibilità di risorse, che si può riscontrare più spesso nelle famiglie monoreddito, solitamente si associa a risultati accademici e professionali più bassi;
  • la provenienza geografica: i divari territoriali in Italia sono abbastanza marcati, e influiscono sia sulle prestazioni a scuola sia sulla ricerca di un’occupazione;
  • l’appartenenza a aree urbane o alle aree interne: l’effetto dovuto all’area geografica di provenienza non si riscontra solo al livello delle macroaree ma, con caratteristiche diverse, si manifesta anche all’interno dei territori. Vivere in città, ad esempio, offre maggiori opportunità educative rispetto al vivere nelle cosiddette aree interne, in quanto solitamente nelle aree urbane sono disponibili più servizi e un numero maggiore di infrastrutture (biblioteche, musei, centri sportivi, ecc.).

Quali sono le conseguenze del fenomeno dei NEET?

I giovani che si ritrovano, loro malgrado, tra le fila dei NEET vanno incontro a notevoli difficoltà nella vita di tutti i giorni: restare in questo stato di inattività finisce con l’impedire il soddisfacimento delle proprie passioni, ostacola la ricerca di un lavoro appagante e preclude la piena partecipazione alla vita sociale.

E non si tratta di una problematica che affligge soltanto i singoli individui: più è alta la quota dei giovani in difficoltà, maggiore è l’impatto sulla società, che si trova a fronteggiare le difficoltà dovute al mancato contributo dei NEET alla vita collettiva e, allo stesso tempo, deve necessariamente investire delle risorse per supportarli.

In precedenza abbiamo accennato al fatto che un elevato numero di giovani inattivi comporta una minore crescita del Paese in termini sia sociali sia economici, e fatto riferimento anche all’aggravarsi delle disuguaglianze sociali.

Molto spesso, infatti, a pagare in prima persona le conseguenze della problematica dei NEET sono quelle persone che già sperimentano delle forme di disagio socio-economico.

Appare quindi abbastanza evidente la necessità di intervenire per contrastare questo fenomeno.

Conclusioni

In Italia, come abbiamo già visto, esistono diversi enti, pubblici e privati, che collaborano per attuare strategie sinergiche al fine di provare a invertire la rotta.

Grazie alle evidenze provenienti dalle indagini statistiche, e con l’esperienza maturata intervenendo negli anni, la situazione sta progressivamente migliorando.

Un grande contributo in questo percorso di equità sociale può essere però fornito da nuove e più efficaci strategie di prevenzione. Ad esempio, negli ultimi anni l’attenzione si sta focalizzando sul fenomeno degli ELET, gli Early Leavers from Education and Training, cioè gli individui che abbandonano prematuramente la formazione scolastica e professionale.

L’identificazione precoce dei soggetti a rischio di dispersione scolastica, che hanno maggiori probabilità di incontrare difficoltà anche nell’ingresso nel mondo del lavoro, può consentire interventi tempestivi e maggiormente efficaci.

ENFEA è l’ente bilaterale costituito da CONFAPI e CGIL, CISL e UIL a cui aderiscono le imprese che applicano i CCNL UNIGEC/UNIMATICA, UNIONCHIMICA, UNITAL, CONFAPI ANIEM, UNIONTESSILE e UNIONALIMENTARI.

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